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Non solo nel lungo e cruento periodo delle persecuzioni contro i cristiani dei primi tempi, si ebbero numerose vergini e martiri, i cui nomi sfidando i millenni sono diffusi in tutta la cristianità, ma anche nei nostri tempi, vi sono state tante ragazze che hanno sfidato la concupiscenza di uomini fuor del timore di Dio, accecati da insane passioni, e subendo anche la morte per difendere la loro purezza.
Forse ai nostri giorni parlare della difesa estrema della purezza, fa un po’ sorridere, visto il lassismo imperante, la sfrenatezza dei costumi, il sesso libero fra molti giovani, ma fino a qualche decennio fa la purezza era un bene e una virtù, a cui tutte le ragazze tenevano, come dono naturale da difendere e preservare, per un amore più completo e benedetto dal sacramento del Matrimonio, oppure come dono da offrire a Dio in una vita consacrata.
Papa Pio XII volle indicare alle giovani, come esempio di difesa estrema ed eroica della purezza, la ragazza martire Maria Goretti (1890-1902) che beatificò nel 1947 e proclamò santa nel 1950 durante l’Anno Santo.
E con il riconoscimento ufficiale della Chiesa di questa forma di martirio, quello che fino allora poteva considerarsi, secondo il linguaggio di oggi, come uno stupro finito tragicamente per la resistenza della vittima, assunse una luce nuova di martirio, visto la personale spiritualità della vittima, il concetto di difesa della purezza come dono di Dio, il ribellarsi coscientemente fino alla morte; diceva s. Domenico Savio nella sua pura adolescenza: “La morte ma non il peccato”.
Alcune di queste vittime, ricorrendo le condizioni personali su esposte, sono anch’esse avviate al riconoscimento ufficiale della Chiesa, dell’eroicità delle loro virtù; o come altre già beatificate e in attesa di essere proclamate sante, per tutta la Chiesa Universale.
Ne cito alcuni nomi: la beata Pierina Morosini (1931-1957) della provincia di Bergamo; la beata Carolina Kozka (1898-1914) martire della Polonia; la Serva di Dio Concetta Lombardo (1924-1948) della provincia di Catanzaro; ecc. a queste si deve aggiungere la beata Antonia Mesina di cui parliamo.
Antonia, seconda dei dieci figli di Agostino Mesina e di Grazia Rubanu, nacque il 21 giugno 1919 ad Orgosolo in provincia di Nuoro, battezzata nella parrocchia di S. Pietro, originariamente del XIV secolo e come si usava allora, venne cresimata il 10 novembre 1920 quando aveva nemmeno due anni; all’età di sette anni fece la Prima Comunione.
La famiglia di modeste condizioni, era portata avanti dal padre che faceva la guardia campestre, e già era qualcosa nella carente economia di Orgosolo, paese collinare della Barbagia (mt. 620), sui rilievi a nord dei monti del Gennargentu, con le sue caratteristiche casette, spesso con cortili a piccole logge, le cui principali risorse degli abitanti erano la pastorizia e lo sfruttamento degli estesi boschi circostanti.
Antonia Mesina si formò alla scuola della Gioventù Femminile d’Azione Cattolica e dal 1929 al 1931 ne fece parte come ‘beniamina’ e dal 1934 al 1935 come socia effettiva, fu colma di pietà semplice e fervorosa, generosa nella dedizione alla sua famiglia, dando rispetto e carità verso tutti.
Di carattere riservato e deciso, tipico della personalità delle donne barbaricine, evitò tutto ciò che poteva offuscare il suo buon nome e la sua modestia. Partecipò con spontaneità agli avvenimenti del suo paese Orgosolo, una foto la ritrae che indossa il bellissimo costume, portato dalle donne nelle tradizionali feste dell’Assunta (15 agosto) e di S. Anania (prima domenica di giugno).
Il 17 maggio 1935, dopo aver partecipato alla celebrazione della Messa nella parrocchia di S. Pietro e ricevuta la S. Comunione, si recò nel bosco circostante per raccogliere la legna, secondo le consuetudini per le necessità della famiglia; si trovava in località “Obadduthal” quando venne trovata da un giovane compaesano, il quale la tentò per un rapporto d’amore, ma lei non aderì e resisté alla insana passione di lui; il giovane accecato dal rifiuto, l’aggredì con violenza massacrandola con colpi di pietra, si contarono 74 ferite.
Così morì difendendo la sua purezza Antonia Mesina di soli 16 anni, impregnando quella nobile e antica terra di Barbagia, del suo sangue innocente; diventando un fiore da ammirare per il popolo di Orgosolo, che partecipò compatto il 19 maggio 1935 ai solenni funerali.
Il 22 settembre 1978 la Santa Sede approvò l’inizio del processo per la sua canonizzazione; papa Giovanni Paolo II ha beatificata questa figlia di Sardegna il 4 ottobre 1987.

(fonte: www.santiebeati.it)