gaetano rosaCi ritenevamo una famiglia “normale”, ma evidentemente qualcosa non ha funzionato. Io ero sempre dedito al lavoro per non far mancare niente in casa e mia moglie si divideva tra lavoro e casa. Si faceva quello che il mondo richiede ad ogni famiglia: si pensava all’avvenire dei figli. Siamo una famiglia emigrata nel 1998 dalla Sicilia alla Lombardia e, come tutti i meridionali, si è dovuto lottare per togliere quel mondo di diffidenza verso di noi. Dopo le scuole medie, Rosario si avviava verso le superiori e lì sono iniziati i primi passi con la droga; c’erano dei piccoli campanelli d’allarme ma, come pensa la maggior parte dei genitori, credevamo fossero passaggi momentanei nella vita adolescenziale.

Anno dopo anno, vedevamo la vita di nostro figlio che si andava sempre più spegnendo ed io, Gaetano, mi ritrovavo incapace ad aiutarlo. Non sentendomi capito, anch’io ho preso la strada del male: bugie, gioco e, ogni sera, tornavo tardi a casa accertandomi solo che mio figlio fosse già rientrato. Nostra figlia Michelle, intanto, più volte ci aveva chiesto di essere aiutata da uno psicologo, ma noi non davamo importanza a questa sua richiesta. Dopo qualche insistenza da parte sua, l’abbiamo portata dallo psicologo: alla terza seduta ci ha condiviso che il suo malessere nasceva dal non sapere come dirci che Rosario si drogava. L’abbiamo rassicurata dicendo che saremmo stati noi genitori a prenderci carico di questo peso e che lei doveva continuare a fare la sorella e la figlia. Al ritorno in macchina ha anche detto che vedeva con sofferenza che il mio cuore in questi anni si era chiuso nei confronti di Rosario: di lì si è aperta in me una breccia.

Un giorno mentre ero a Messa, Michelle è venuta a chiamarmi dicendomi di tornare subito a casa; arrivo correndo preoccupato e trovo mia moglie con delle pasticche e una boccetta di metadone in mano. Abbiamo, così, scoperto che nostro figlio era arrivato purtroppo all’eroina. Davanti all’evidenza ha ammesso e di lì ci è crollato il mondo addosso. Non sapevamo come e in che modo affrontare tutto ciò, ma evidentemente la mano del Signore era già sopra di noi. I primi passi li abbiamo fatti al Sert e successivamente abbiamo chiamato un nostro zio prete che aveva conosciuto una casa di una certa Comunità Cenacolo vicino a Cuorgnè.

Si è aperto per noi un mondo nuovo: io con tanta fatica ma buona volontà ho recuperato il rapporto con mia moglie, mollando tutti i vizi che mi stavano rovinando. Dopo la prima Festa della Vita, dove siamo stati coinvolti tutti come famiglia, ciascuno con il proprio servizio, mia figlia ha maturato la volontà di seguire gli incontri “Donna chi sei” e di andare tutti i mesi al Night in Christ. Non immaginavamo che da lì avrebbe preso la decisione di entrare in Comunità anche lei. Così, io e mia moglie ci siamo ritrovati da soli. In questo periodo siamo stati messi alla prova, perché Rosario tante volte è andato via dalla Comunità, ma noi sapevamo che prenderlo a casa sarebbe stata la sua morte. Grazie al cammino abbiamo capito che non potevamo più vivere in Lombardia, per paura che quando i nostri figli sarebbero tornati potessero vivere gli stessi disagi di prima. Abbiamo chiesto al lavoro il trasferimento a Roma e abbiamo sentito la mano del Signore che ci accompagnava nella scelta fatta.

È stato bello sapere che, poco dopo aver preso questa decisione, la Comunità apriva una fraternità proprio nel luogo dove avevamo deciso di trasferirci! Infatti, il nostro più grosso rammarico era proprio quello di allontanarci dalla Comunità, dal nostro Gruppo Genitori, ma il Signore è grande e ha provveduto anche a questo. Cosa dire di più: ha fatto tutto il Signore, ha cambiato le nostre vite, il nostro modo di pregare, il nostro modo di vivere la fede. In poche parole, ci ha ribaltato! Abbiamo imparato ad affidarci e a fidarci di Gesù, e così tutto è cambiato. Un immenso grazie a Dio, alla Comunità e a tutti i genitori che ci sono stati vicini. Grazie, grazie, grazie!


joaquim reginaLa Comunità è arrivata nelle nostre vite grazie a Maria il 13 maggio del 2012, quando vicino alla Cappellina di Fatima ha messo sul nostro cammino una persona di un gruppo di preghiera di Lisbona che pregava per l’arrivo della Comunità qui in Portogallo. È stata la Madonna a ridonarci la speranza che nostro figlio sarebbe potuto uscire dal mondo delle tenebre che lo circondava. Quando si è inaugurata la fraternità di Fatima abbiamo visto una luce in fondo al tunnel, quella luce che avevamo ormai perso tanto tempo prima. Abbiamo avuto il grande dono di poter abbracciare Madre Elvira, una donna incredibile, e la sua forza interiore ci ha consolati in quel momento di disperazione e di sofferenza. Quel giorno ha stravolto le nostre vite e da lì in poi ci siamo “staccati” da tutto, perché come genitori abbiamo sentito che dovevamo lasciare tutto. Avevamo una vita stabile, una casa propria… avevamo tutto, ma quel tutto è diventato niente quando guardavamo nostro figlio perso, senza un senso nella vita, e quel suo sguardo vuoto ci stava distruggendo pian piano.

Nello stesso tempo, sentivamo un’altra spada ferire i nostri cuori: il dolore per nostra figlia Simona ancora nell’innocenza dell’infanzia, che è dovuta maturare velocemente per affrontare con noi la sofferenza di suo fratello. L’unione nella nostra famiglia è diventata salvezza per nostro figlio Patrick. È stato un cammino duro e di molta sofferenza, in cui ognuno di noi si è affidato pienamente a Dio e alla Madonna, che non ci hanno mai abbandonato. La Provvidenza divina ci ha donato una casa del Cenacolo a Fatima e in questo luogo santo abbiamo trovato il vero senso della nostra vita e delle nostre sofferenze. È stato qua che abbiamo cominciato un cammino di perdono, di amore, di preghiera e di guarigione delle ferite che ci appesantivano il cuore.

Oggi nostro figlio Patrick vive in Comunità ed è felice. Sentiamo un’immensa gratitudine nel poter ascoltare e consolare le famiglie che stanno passando la stessa sofferenza che abbiamo passato noi. Viviamo un giorno alla volta e ci sentiamo genitori di tanti figli che passano dalla fraternità; oggi siamo chi Dio vuole che siamo e, nonostante le nostre povertà e la nostra piccolezza, rimaniamo con le mani aperte disponibili a quello che Lui ci chiede attraverso questa grande famiglia, che è nata dal desiderio che Dio ha messo nel cuore generoso di sua figlia Madre Elvira.

 

fernado anamariaVeniamo dal Perù e abbiamo tre figli. Non erano bei tempi per il nostro paese quando ci siamo sposati e potevamo andare avanti solo lavorando molto, con la promessa che ai nostri figli non sarebbe mancato nulla. Questo ha fatto sì che ci spostassimo da una città all’altra sette volte, creando molte difficoltà ai nostri figli nell’adattarsi alla scuola e agli amici. Passavano gli anni e nostro figlio Fernando ha cominciato ad avere problemi nel suo comportamento. Abbiamo cercato di proteggerlo cambiando più volte la scuola, ma non ha avuto successo. Poi ci sono arrivate voci sul fatto che usava droghe, ma non ci credevamo perché pensavamo: “Come può succedere questo a noi?”. Negavamo a noi stessi questa realtà. Mossi dall’amore incondizionato per nostro figlio, siamo andati instancabilmente alla ricerca di dottori, psicologi, terapisti, psichiatri, centri terapeutici e cliniche, che lo hanno riempito di farmaci, ma lui continuava a drogarsi e noi continuavamo a illuderci che tutto questo lo potesse curare.

Allo stesso tempo la nostra famiglia si stava distruggendo: la casa non era più un luogo accogliente, c’erano continui conflitti tra noi e la separazione era alle porte. In quel momento un’amica ci ha parlato della Comunità Cenacolo e con tutti i nostri dubbi, perché eravamo letteralmente esausti, siamo andati con un amico sacerdote nella missione di Pachacamac per vedere di che cosa si trattasse. Ci ha ricevuti Domenico, ci ha raccontato della Comunità e ci ha regalato il libro “Una speranza che rinasce”. In quel colloquio abbiamo visto e sentito la presenza di Gesù. Quando abbiamo chiesto a nostro figlio cosa ne pensasse, ha risposto: «Per la prima volta mi sono sentito amato da qualcuno. Non tutti ti abbracciano con gli occhi luminosi e con il sorriso; in questo luogo tutti ti accolgono così». Abbiamo capito che la Croce che portavamo era uno strumento per avvicinarci a Gesù e non volevamo perdere questa àncora di salvezza. Attraverso questa strada Dio voleva la salvezza di nostro figlio e, senza che noi ne fossimo coscienti, anche quella del nostro matrimonio.

Fernando non aveva ancora preso la decisione e in quel momento non esisteva ancora una casa per i ragazzi in Perù, ma con il passare dei mesi la fraternità “Señor de los Milagros” è diventata una realtà. Abbiamo partecipato ai colloqui sperando che un giorno nostro figlio sarebbe potuto entrare. Abbiamo imparato a pregare con il cuore e senza disperazione, confidando in ciò che Dio aveva preparato per noi. Poi il giorno tanto atteso: il 14 gennaio del 2017 ci hanno chiesto di portarlo a Supe ed è iniziato il suo cammino di conversione. Grazie alla Comunità, abbiamo imparato tanto, soprattutto a perdonare; siamo strumenti nelle mani del Signore che non ci ha mai lasciati soli, ci ha tenuti insieme e adesso ci ha riuniti. Adesso la nostra famiglia è cresciuta, abbiamo molti “figli di cuore”: suore che con un sorriso donano gioia alla nostra giornata, amici sacerdoti,  missionari impegnati in quest’opera, volontari, amici e genitori in cammino che adesso tocca a noi aiutare. Ci sediamo attorno ad un grande tavolo e tutti parliamo e condividiamo, senza discussioni né distinzioni.

Ringraziamo la Comunità Cenacolo e la nostra cara Madre Elvira: grazie per il tuo donarti, grazie per la tua testimonianza, per il tuo esempio e per la tua umiltà, per l’opera che Dio ha compiuto attraverso di te che oggi ci permette di vedere e toccare con mano la risurrezione di nostro figlio e quella della nostra famiglia.

 

genesioAbbiamo scoperto piano piano che i problemi familiari legati a nostro figlio e vissuti negli anni attraverso penose difficoltà, nell’impotenza e nella vergogna, erano comuni a tante altre famiglie, papà e mamme come noi che, dopo sofferenze e prove di ogni tipo, sono approdati allo stesso “porto sicuro”. Non è stato facile da principio, ma gradualmente nel condividere gli stessi drammi, i visi estranei sono diventati familiari, volti di amici che si potevano finalmente abbracciare. Così tra un incontro e l’altro, preghiere, testimonianze, pellegrinaggi e momenti di festa ti ritrovi a condividere le vicissitudini quotidiane, in questa particolarissima e variopinta famiglia allargata. Se fosse solo così la Comunità Cenacolo, non sarebbe tanto differente da un club, da una qualche associazione a carattere religioso, o poco più. Ma non è così, e tutti noi lo sappiamo bene e possiamo testimoniare che è una grande famiglia animata e sostenuta dallo Spirito Santo. Quando abbiamo deciso il ricovero in ospedale di Genesio, la Comunità ci ha sostenuto amorevolmente in ogni modo, infondendo coraggio e speranza, quel coraggio e quella speranza che provengono dalla preghiera e dalla fede profonda. Se sei nel buio e nella tristezza, come tante volte è capitato in altre situazioni, basta una voce, una telefonata per sentire la vicinanza di tanti fratelli e sorelle, che ringraziamo.

Per me, Genesio, sono stati dei giorni molto particolari. Ho sentito vicinissimi tutti, la Comunità a Saluzzo, gli amici del Gruppo Genitori di Monza. Non riuscivo neanche a terminare un’Ave Maria ma si vede che le preghiere che non recitavo io, le recitava qualcun altro; le recitava, sicuramente, mia moglie e gli amici della Comunità, che mi stavano vicinissimi. Così, diciamo grazie di cuore ai sacerdoti e alle madri che quotidianamente hanno portato Dio nelle nostre case, infondendo il Suo amore incondizionato. Così, questo fortissimo legame di comunione, nell’avvertire che un dolore è un dolore per tutti, come una gioia è condivisa allo stesso modo, ha rafforzato quei legami di fraternità e di vera amicizia che ci hanno unito e ci uniranno sempre. Grazie.

luciana daniloSiamo i genitori di Mauro, un dono del Signore. Noi genitori abbiamo conosciuto la comunità grazie alla vicinanza della fraternità di S. Stefano Belbo non distante dalla nostra residenza, quando ancora non si era manifestata la nostra Croce. Mauro, all'età di 16 anni ha inziato ad avere i primi problemi con alcool e spinelli. Pensavamo fossero problemi di ribellione adolescenziale, ma con il passare degli anni, i vari incidenti in macchina e il suo continuo abuso di sostanze abbiamo capito che stava diventando una vera dipendenza. Dopo un periodo in Inghilterra e vedendolo stare sempre peggio, decidemmo di affrontare a muso duro il problema, nonostante lui continuava a dirci di stare tranquilli che non aveva bisogno di aiuto e che ne sarebbe uscito da solo.

La nostra fede e il nostro essere vicini alla preghiera era stato fino ad allora solo al bisogno, ma dettati da una situazione degenerata e arrivati alla disperazione, vedendo nostro figlio buttare la vita all'aria ci siamo rivolti alla comunità. Dopo diversi tentativi siamo riusciti a portare Mauro a fare un colloquio, uscendo dal quale ci ha detto che i ragazzi con cui aveva parlato non ritenevano necessario il suo ingresso e che poteva farcela da solo. Naturalmente abbiamo capito subito che non era la verità e non ci siamo dati per vinti, continuando ad essere in contatto con i responsabili del gruppo genitori. Questa nostra perseveranza ci ha dato forza, determinazione, fiducia e consigli per far sì che nostro figlio imboccasse la retta via, la strada per una vita nuova.

Siamo andati avanti ancora più di un anno con costanti litigi, disagi e disperazione ma con il cuore pieno di speranza e convinti che questa era la strada giusta. Una sera squillò il telefono, era l'ospedale, Mauro ricoverato con gravi problemi di salute legati alle sue dipendenze. Da questo momento si è reso conto di non essere in grado di affrontare tutto da solo. Dopo la sua richiesta di aiuto l'unica opzione che gli abbiamo dato era quella di entrare in comunità. Dopo mesi difficili ha cominciato a sentirsi meglio ed a voler andare avanti con il suo cammino di resurrezione. Anche noi genitori abbiamo cominciato a sentirci più sereni, più gioiosi e più vicini alla preghiera, non solo nei momenti difficili ma quotidianamente, ringraziando il Signore per la grazia ricevuta. La nostra famiglia è diventata più forte, più unita con il coraggio di dirci la verità e di affrontare insieme le avversità della vita.

Cristo affermò nel Vangelo "Sono la luce del mondo", questa luce ha avvolto sia Mauro che noi facendoci riscoprire l'amore e la fede. Attraverso gli incontri con i genitori, le testimonianze, le catechesi di Madre Elvira e tutto ciò che la comunità propone ci sentiamo arricchiti, pronti per un nuovo cammino della nostra vita. Perdonando i nostri errori, riusciamo a gioire ed amare il dono meraviglioso che il Signore ci ha fatto: nostro figlio. Anche a tutti voi genitori e ai vostri figli avvolga questa luce e che entri nei vostri cuori. La fede con la perseveranza nella preghiera venga ad alleviare il peso della vostra croce portando quell'immensa luce.