maria roma

Mi chiamo Maria, ho trent’anni e anche io sono testimone che Cristo è risorto nella mia vita. Quattro anni fa ho detto basta all’alcool, all’anoressia e al buttarmi via, e ho chiesto aiuto alla Comunità. Qui ho capito che la ragione di questi comportamenti sbagliati sono da ricercare nella storia mia e della mia famiglia. Sono settima di dieci figli, più uno che è salito subito al Cielo. Durante il mio primo anno di vita mia mamma ha cominciato ad ammalarsi, vivendo delle crisi depressive che non si riuscivano a spiegare. Così sono cresciuta senza di lei perché la rifiutavo, anche se vivevamo insieme. Non raccontavo a nessuno il dolore e la rabbia che soffrivo, dato che non volevo aggiungere altre preoccupazioni a mio padre che già doveva occuparsi di tutti noi. In più la precarietà economica e il fatto di essere cristiana, mi facevano sentire diversa dagli altri.

Grazie a Dio mio padre è sempre stato vicino a mia madre e la mia famiglia è sempre stata unita. Ero io che parlavo poco o non parlavo affatto, e cercavo la pace solo fuori di casa. A diciotto anni mio padre mi spiegò che la malattia di mia mamma è una malattia degenerativa del sistema nervoso ed è ereditaria. Questo da una parte mi ha reso consapevole del rischio che posso correre di averla anche io, ma dall’altra parte mi ha messo il cuore in pace, perché fino a quel momento ero convinta che fossi io la causa di questo suo malessere. Ormai però avevo alzato troppe barriere contro tutti, non avevo idea di chi fossi e lo cercavo fuori di me, finché non ho toccato il fondo.

Sono entrata in Comunità nella fraternità di Lourdes, e più tardi ho capito che la Madonna mi voleva lì per guarirmi nel profondo. Mi ricordo che una volta, quando ero in cucina, ho avuto una situazione forte con una ragazza. La discussione è finita con un pianto da parte mia  (io che non piangevo mai!), tirando fuori tutta la mia rabbia verso la mia storia e verso la mia famiglia, finché non mi sono detta: «Ora non puoi più continuare a dare la colpa a loro. Vai a finire di cucinare la cena per le tue sorelle!».

Più avanti poi ho chiesto perdono a mia mamma, a mio padre e ai miei fratelli, perché ho capito quanto ero stata egoista. Nell’ultima verifica a casa il prendermi cura di mia mamma mi ha fatto sentire per la prima volta bene al mio posto. Mia mamma ha una grande voglia di vivere nonostante si trovi all’ultimo stadio della sua malattia. Credo di avere tanto da imparare da lei e vedo come questa malattia ci abbia uniti tutti quanti, perché attorno a mia madre c’è tanto amore. In questi anni sono stata accanto a diverse ragazze bisognose, ed ho compreso che noi siamo strumenti ma è Lui che ci salva, che compie i miracoli e che ci lascia liberi di scegliere. Ho scoperto che il prendermi cura delle persone che hanno bisogno mi riempie di gioia.
Nel mio cuore oggi c’è una grande gratitudine verso tutte le persone che ho incontrato in questo cammino di risurrezione.
Grazie a tutti.


mariella ok

Mi chiamo Mariella, ho venticinque anni e vengo dall’Austria. Appena nata, mia madre biologica, per diversi motivi e per la sua salute, non è stata in grado di prendersi cura di me. Così mi ha accolto in affido una nuova famiglia che già mi aspettava. Sono stata educata ai valori cristiani: si andava in chiesa la domenica e si lavorava tanto nella fattoria. Sono la più piccola di cinque figli, di cui un altro in affido. Nei primi anni di vita avevo vari problemi di salute, anche perché ero nata prematura di tre mesi. Essendo una famiglia numerosa, c’erano sempre molte difficoltà: mio padre con il problema dell’alcool, i litigi soprattutto tra me e mio fratello affidatario, il lavoro che richiedeva tanto impegno. Mia madre era preoccupata per me e voleva aiutarmi, cercando sempre più forza e sostegno nella fede, riuscendo così a tenere unita la famiglia.

Andavamo spesso in pellegrinaggio, si pregava ogni giorno e finché ero piccola questo mi faceva sentire bene. Crescendo, aumentava in me il sentimento di non avere un posto, di sentirmi sempre “sbagliata”, non desiderata, anche se ricevevo tanto amore da parte della mia famiglia, ma queste ferite erano più forti. Quando mi tormentavano questi sentimenti, reagivo sempre con tanta rabbia verso i miei genitori, davo loro la colpa di tutto e li rifiutavo, e pian piano mi isolavo sempre di più. Era difficile per me sentirmi parte del gruppo; tante volte venivo presa in giro per la fede della mia famiglia e mi vergognavo. Mi ribellavo, dicevo bugie, rubavo in casa e a scuola andavo sempre peggio. Frequentando poi il collegio in città, pensavo di aver trovato la libertà che volevo. Dopo poco, infatti, con i miei nuovi “amici” scoprii il mondo della droga: inizialmente passavamo il tempo a fumare le “canne” e sembrava tutto perfetto, pensavo di aver trovato finalmente il mio posto.

Con la mia famiglia diventavo sempre più fredda, capivano che non stavo bene ma non avevano più le forze di affrontare litigi pesanti. Non ero più capace di dirmi dei no su niente e ho perso il controllo della mia vita. In tutto ciò, mia madre non ha mai perso la speranza e continuava a pregare per me proponendomi di entrare al Cenacolo, che avevamo conosciuto a Medjugorje anni prima, ma rifiutavo questa idea. Poi però, arrivando al punto più buio della mia vita, in mezzo a illusioni e menzogne, ho gridato al Signore: «Se ci sei, salvami!». Pochi giorni dopo ho chiamato mia madre per dirle di venirmi a prendere e portarmi a Medjugorje.

Arrivando lì, ho fatto qualche colloquio: mi colpivano la libertà e la verità che vedevo nelle ragazze, ma nello stesso tempo mi faceva tanta paura. Entrando mi sono resa conto che nella vita mi ero messa tantissime maschere per non farmi vedere debole, e che non avevo imparato ad accogliermi così come sono. Non sapevo abbracciare la mia storia e la mia famiglia e non ero capace di soffrire senza farmi vittima. La Comunità e le ragazze mi hanno aiutato a non scappare più dalle verità di me stessa. Finalmente ho ritrovato un ritmo nella giornata, ho sperimentato per la prima vol- ta nella mia vita che ero capace di iniziare un lavoro e di finirlo. Ancora oggi scopro tanti doni che non pensavo di avere. La preghiera, che fino a quel momento era solo una cosa noiosa e ripetitiva, è diventata un appoggio che mi dà la forza per andare avanti. La condivisione mi libera dalle mie maschere e falsità, e anche dalla paura di essere giudicata e di dire quello che penso veramente. Oggi mi sento fortunata: sento che l’amore di Dio mi ha voluto e non mi ha mai lasciato sola; Lui c’era e aspettava che dicessi il mio “sì”. Bastava un piccolo “aiutami” e Lui ha fatto il resto. Sento di voler restituire quello che Dio mi ha dato oggi nella vita. Madre Elvira ci ha insegnato che il cammino comunitario non ci vuole solo liberare dalle dipendenze, ma ridarci la vita vera. La Comunità per me è questo: vita piena ogni giorno e tante guarigioni in me e nelle sorelle accanto a me. Oggi sento pace nella mia storia, nella mia famiglia, nel mio passato. Qualche volta, quando sanguinano ancora le ferite, imparo a portarle davanti a Gesù nel Santissimo Sacramento e a condividerle e così non mi viene più voglia di scappare, ma desidero vivere nella vera pienezza. Sto imparando ad uscire dal mio egoismo e a non guardare più solo a me stessa piangendomi addosso, come facevo prima. Uno dei doni più grandi che ho sperimentato è la riconciliazione con i miei genitori: l’amore che sento oggi per loro e anche per la mia madre biologica è frutto del cammino di guarigione vissuto. Grazie Signore perché posso essere parte di questa grande famiglia che mi ha accolto riponendo in me tanta fiducia, quella che io avevo perso. Grazie a Madre Elvira perché per il suo esempio e il suo eccomi, sto imparando a dire il mio “sì” a Dio ogni giorno e sperimento che sono figlia amata!


laurasavSono Laura e ho ventidue anni. Sono nata a Vienna da padre cubano e madre polacca. I miei litigavano sempre e dopo un periodo, hanno divorziato. Mio fratello, che aveva quattro anni più di me, e mia madre partirono per la Spagna. Io rimasi con mio padre per qualche mese e poi li raggiunsi, lasciando mio padre da solo. Abitavamo in un paese al sud della Spagna dove si percepiva poca accoglienza verso gli stranieri. A causa di questo vedevo spesso mio fratello subire atti di bullismo. Non volendo essere umiliata anch’io, cominciai a ribellarmi.

Presto mi trovai in mezzo a dei problemi con la giustizia. All’età di tredici anni conobbi il mondo della droga. Scoprendo come poter sfruttare e manipolare gli altri per ottenere ciò che volevo. A diciassette anni decisi di ritornare in Austria per trovare un lavoro: se già prima ero caduta in basso, con questa decisione mi avviai alla perdizione. Vivevo di notte e spendevo i soldi del lavoro velocemente, rubavo. Con i debiti da pagare e i processi a cui non mi presentavo, scappai dall’Austria lasciando mio fratello da solo. Mi ritrovai per strada in Spagna a vivere con altri “amici”. Qualche mese dopo, la notizia del suicidio di mio fratello è stata per me un brusco “risveglio”. Con tanti sensi di colpa che mi schiacciavano, sono caduta ancora più profondamente nella droga e in altre dipendenze. Avevo perso tutto: il lavoro, gli amici, mio fratello, il rispetto di me stessa, il rapporto con mia madre e con mio padre...

Un giorno, durante un “rave”, nella disperazione totale, gridai al Signore di aiutarmi: non era questa la vita che volevo per me. Non credevo, ma il Signore mi ascoltò. Un mese dopo cominciai a fare i colloqui per poter entrare in Comunità. Avevo un grande desiderio di conoscere questo Dio di cui Madre Elvira e le sorelle mi parlavano: un Dio concreto che si trova nei gesti quotidiani dell’amore fraterno. Ero colpita dalla fiducia che gli altri dimostravano in me. Mi sentivo accolta e voluta bene nonostante le mie povertà. Con il passare dei mesi ho avuto il dono di poter essere l’“angelo custode” di ragazze appena entrate, e lì ho visto che in me c’è un cuore capace di amare, che so mettere da parte me stessa per aiutare chi mi sta accanto. Grazie a questi passi di vita nel bene, ho guarito poco a poco anche il rapporto con mia madre, perché vivevo verso me stessa lo stesso disprezzo che vivevo verso di lei.

La cosa più importante che ho scoperto in Comunità è stata l’amicizia vera: dire quello che vedo all’altra persona, accoglierla, ascoltarla, scontrarci e chiederci scusa, camminare nel Signore pensando insieme al bene che potremmo fare per una terza persona... così, giorno per giorno ho ritrovato il desiderio di una vita pura e vera. Oggi la sofferenza per la scomparsa di mio fratello mi fa essere più misericordiosa verso il dolore altrui. Ho ritrovato una grande famiglia ed è questo che avevo sempre chiesto al Signore. Ringrazio Madre Elvira, la Comunità per tutto l’amore ricevuto e donato in questi anni.

 

bettinaMi chiamo Bettina, sono nata in India grazie al “sì” alla vita da parte di una donna che non ho mai conosciuto. Il suo amore mi ha fatto nascere, probabilmente, in una condizione “non buona” perché dopo una settimana sono arrivata in un orfanotrofio gestito da delle suore. Dopo quasi tre anni sono stata adottata da genitori tedeschi. Oggi capisco che Dio era presente e guidava i miei passi, Lui voleva una vita piena e felice per me. Sono la terza figlia adottiva e i miei genitori non ci hanno fatto mancare nulla, sia sul livello delle cose materiali che nell’amore; ci hanno dato anche un’educazione cristiana.

Il primo tempo in famiglia è stato uno “shock” vissuto nel pianto, nella chiusura e nei tentativi di fuga da casa. Ero l’unica bambina di colore in classe e sentivo forte il rifiuto dei compagni. Un’altra difficoltà grande è stata accogliere la nascita del mio quarto fratello, nato dai miei genitori: non ero più la piccola di casa e vivevo una forte gelosia. Quando avevo dieci anni abbiamo scoperto che mio fratello maggiore aveva imboccato la strada della droga. I miei genitori sono andati in “tilt”, il loro rapporto ha iniziato a vacillare, litigavano spesso. Io mi sono chiusa sempre di più in me stessa. Ho iniziato ad avere problemi di cibo e più il tempo passava, più il mio desiderio era quello di andarmene di casa. Finite le scuole superiori sono andata a vivere lontano dalla famiglia per studiare; lì potevo fare quello che volevo e ho iniziato a fare le mie prime esperienze “sbagliate”: feste e alcool.

Dentro avevo un vuoto grande, tanta tristezza e la sete di qualcosa di profondo. Ha iniziato a crescere dentro me il voler sapere qualcosa di più delle mie radici: ho deciso di andare in India. Dopo tanti incontri, dialoghi, viaggi, ho capito che non c’era nessuna possibilità di trovare qualcuno della mia famiglia. Ho deciso di fermarmi in India per più di due mesi in un orfanotrofio di bambini ammalati di Aids. Nel donarmi a loro ho iniziato a riconciliarmi con le mie radici! Ritornando in Germania mi sono riavvicinata alla mia famiglia. Sembrava andasse tutto bene: avevo un buon lavoro dove stavo facendo carriera, un bravo fidanzato, una casa... ma poi la mia vita ha iniziato a franare di nuovo.

Mia mamma si è accorta di quello che vivevo e mi ha proposto la Comunità, ma io non volevo saperne. Ho continuato ad andare avanti cadendo sempre più in basso finché una notte, dopo un viaggio in macchina… mi sono trovata all’ospedale. Mi hanno ritrovato in stato di incoscienza nella macchina ferma in mezzo a una strada: non avevo nessuna ferita, né la macchina un graffio; è stato un miracolo! Dopo due mesi sono entrata in Comunità, nella fraternità di Mogliano Veneto. Quando sono arrivata con mia mamma, le ragazze ci hanno accolto cantando, ballando e tutte sorridenti. Non riuscivo a capire cosa stesse accadendo! Ho iniziato i primi passi con l’aiuto del mio “angelo custode”, la ragazza che mi stava vicino: il lavoro “fisico” insieme nell’orto, il suo condividermi la sua vita e le sue esperienze, mi hanno dato la spinta a iniziare il cammino di conoscenza di me stessa nella verità.

La rabbia, la sofferenza e la tristezza soffocate per tanti anni sono iniziate ad emergere; ho versato tante, tante lacrime che hanno iniziato a sciogliere il “blocco” che avevo dentro. Anche se all’inizio non pregavo, la preghiera comunitaria in cappella risuonava in me come qualcosa di sicuro, di vero: mi dava pace. Mi ha stupito vedere la coerenza delle ragazze nel quotidiano e mi ha colpito toccare con mano la Provvidenza. Tutto questo mi è stato di grande aiuto per riavvicinarmi a Gesù. Ora vedo in modo chiaro la sua presenza nella mia storia. Ringrazio la Comunità per tanti doni ricevuti nel cammino come i ritiri per il discernimento vocazionale, i recital… esperienze che mi hanno fatto crescere come “donna” e mi hanno aperto il cuore per la missione.

Sono partita per la missione nei pressi di Salvador Bahia, in Brasile, e poi per quella a Valle de Bravo in Messico, e adesso sono in Liberia!! Stare con i bambini mi ha risvegliato tanti ricordi di quando ero piccola! Oggi posso essere io ad accoglierli e le mie ferite possono essere dono e speranza per tanti bambini: sono stata anch’io una bambina come loro. Grazie, Gesù, che nel buio di quella notte sei stato la Luce che ha convertito il mio cuore. Grazie a te, Madre Elvira, alla Comunità e alla mia famiglia perché mi sento sempre più innamorata della vita e vedo la ricchezza della mia storia. È meraviglioso sentirmi figlia felice di Dio, di Madre Elvira e di tanti genitori!


valeARGHo ventidue anni e vengo dalla Slovacchia. Sono cresciuta in una famiglia buona e cristiana che si impegnava a darci tutto il necessario. Ero una bambina molto sensibile e soffrivo molto perché i miei genitori dovevano lavorare tutto il giorno e io dovevo stare con mia zia. A undici anni, a causa di un problema di salute, sono stata ricoverata in ospedale e ho iniziato a chiudermi in me stessa. Quando sono tornata a scuola, a causa del mio carattere debole, ho subìto il bullismo da parte dei miei compagni di classe e questo mi ha fatto ancora di più allontanare da tutti.

Ho iniziato a raccontare molte bugie e mia mamma e lei, non capendo bene cosa stessi passando, ha cominciato a portarmi da molti psicologi. Poi ho conosciuto un ragazzo più grande di me e ho iniziato a uscire con lui. Insieme a lui e alle compagnie sbagliate mi sembrava di sentirmi più “forte”. Ho iniziato a bere alcool, a fumare e mi sono iscritta a un’agenzia per fotomodelle. Ho conosciuto il mondo della droga quasi per scherzo: il mio vuoto e la mia disperazione crescevano a dismisura. Sono entrata in tanti centri di riabilitazione che non mi hanno però aiutata.

I miei genitori hanno incontrato la Comunità, ma io non volevo farmi aiutare e sono scappata di casa. Non avevo più una casa fissa, vivevo un po’ qua e un po’ là. Un giorno mi sono ritrovata completamente nel fango e ho gridato a Dio, chiedendogli di aiutarmi perché non ce la facevo più. Ho sentito la sua mano che mi spingeva ad abbassare il mio orgoglio e a chiedere aiuto ai miei genitori per entrare in Comunità. Il primo periodo è stato molto difficile, vivevo tanti sensi di colpa, non riuscivo a fidarmi e ad aprirmi con gli altri. Nel volto delle sorelle che mi hanno accolta e della ragazza che si prendeva cura di me, il mio “angelo custode”, vedevo tanta luce.

Ho pregato la Vergine Maria e ho ricevuto il dono di far parte del gruppo in partenza per aprire la prima casa femminile in Argentina. I primi tempi sono caduta tante volte nelle mie povertà, ma ho sentito tanta misericordia da parte delle sorelle e tanto amore, grazie al quale ho potuto rialzarmi. Per la prima volta nella mia vita ho fatto un grande passo: ho iniziato a scegliere il bene e a guardare le mie povertà con occhi differenti. Ho sentito che Gesù mi vuole guarire completamente e che la preghiera mi aiuta a vivere nella verità e nella luce. Oggi mi sento felice per il dono della vita, per la mia famiglia e per tutto quello che c’è da vivere ogni giorno: voglio vivere in pienezza! Grazie, Madre Elvira, per il tuo “sì” e per la fiducia che hai avuto anche in me: mi sento una donna risorta!

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