San Martino de Porres

Religioso

(Lima, Perù, 9 dicembre 1579 - 3 novembre 1639)

Contemporaneo e concittadino di Santa Rosa, San Martino de Porres chiese a quindici anni di entrare come donato nel convento del S. Rosario di Lima. In lui la semplicità e la sensibilità della razza negra si armonizzò mirabilmente con la capacità organizzativa e la profonda tradizione religiosa del popolo spagnolo. Martino era nato dal castigliano Juan de Porres e dalla negra Anna Velasquez.

Frequenti fenomeni mistici – bilocazione, levitazione, estasi – testimoniano a quale grado di unione con Dio l’umile fratello laico fosse giunto, mentre episodi d’incantevole semplicità imprimono un tono umanissimo e conquidente alla sua vita.

Impedito di partire missionario in Giappone dove sognava di versare il sangue per Cristo, mise a servizio dei sofferenti la sua pratica medica: si fece benefattore dei poveri che accorrevano a lui in gran numero, eresse un collegio per la gioventù abbandonata e si valse del suo ascendente per difendere dalle insidie giovani prive di risorse economiche.

Fu legato da fraterna amicizia a S. Giovanni Macias, a S. Rosa da Lima che gli si rivolgeva sovente per avere aiuto, a S. Francesco de Solano e a S. Toribio de Mongrovejo.

Il Capitolo Generale del 1938 proclamò fra Martino patrono dei confratelli cooperatori domenicani. Dal 1966 è patrono dei barbieri e affini in Italia e  dal 1982 è patrono degli addetti alla salute pubblica in Perù.

Il simpatico Fratello cooperatore fu solennemente canonizzato da papa Giovanni XXIII il 6 maggio 1962, nella Basilica Vaticana, alla presenza di una fiumana di popolo ed il solenne riconoscimento alla virtù del frate mulatto fu, nelle intenzioni del Papa “buono”, la risposta della Chiesa dinanzi ai rinnovati tentativi di discriminazione razziale.

L'umiltà è soltanto la nutrice delle virtù, l'orazione è la loro madre. La relazione che essa stabilisce tra l'anima e Dio è insieme un'apertura alla conoscenza e all'amore del bene, e un canale per cui ogni cosa buona deriva a noi dal Sommo Bene.    

La vita religiosa - scuola di virtù, secondo S. Tommaso - non si potrebbe quindi concepire senza una intensa vita di orazione. Meno che mai la vita religiosa domenicana, se il programma dell'Ordine dei Predicatori può essere sintetizzato in quelle tre parole: “contemplata aliis tradere”. La contemplazione é il presupposto necessario dell'apostolato: solo chi si è nutrito del frutto della contemplazione può avere qualche cosa da dire ai fratelli.    

Martino aveva coltivato l'orazione già prima di entrare in convento. Una volta al SS. Rosario, l'andò intensificando fino a renderla quasi continua. Da qualunque occupazione - attestò il padre Stefano Martinez - il suo spirito traeva argomento per elevarsi quasi spontaneamente alla contemplazione delle cose di Dio. In tutti i suoi uffici - se assisteva i malati, se spazzava, se soccorreva i poveri - sempre, i suoi pensieri erano fissi in Dio .     

Un tale stato di orazione non è, generalmente, un dono, ma è piuttosto il frutto di esercizio costante e generoso, e di molta buona volontà: «L'orazione perfetta non s'acquista con molte parole, ma con affetto di desiderio».    

Martino, costretto a sminuzzare il suo tempo in tante e tanto varie occupazioni, aveva capito che doveva far tesoro di tutto per nutrire la sua vita di orante.     

Bastava, del resto, che si guardasse intorno: il luogo stesso dove viveva era come un continuo richiamo alle cose di Dio e dello spirito.     

C'erano, intanto, le immagini sacre: nei corridoi, ai ripiani delle scale, dalle pareti dell'infermeria, del Capitolo, delle celle, la Vergine gli sorrideva mostrandogli il Bambino Gesù il Crocifisso gli apriva le braccia e il cuore quasi per invitarlo a una unione più e più intima con Lui; i Santi dell'Ordine Domenicano, pur nella rigidezza un po' goffa dei loro tratti scolpiti nel legno o modellati nella creta, gli ripetevano: « Coraggio, Martino, fratello nostro: quel che abbiamo fatto noi potrai farlo anche tu».     

Martino voleva bene a tutte quelle figure che gli mettevano nell'anima un seme di pensieri buoni e non dimenticava, incontrandole sul suo passaggio, di salutarle con un inchino o addirittura mettendosi in ginocchio. Le ornava di fiori e di lumi, specialmente una certa immagine della Madonna che stava nell'atrio del dormitorio. Ma soprattutto cercava di onorare il Signore, la Vergine, i Santi, con l'offerta di atti virtuosi. Questi, insieme con la devozione del suo cuore - avverte il fratello donato Francesco di Santa Fe - esalavano «maggior fragranza ... che li mazzetti e fiori che in detti altari poneva».     

Poi c'era la chiesa, col suo tabernacolo e con i suoi altari. La cappella che Martino frequentava di più era quella della Regina del SS. Rosario. Il desiderio che gli bruciava nel cuore, di amare il suo Figliuolo, andava a dirlo a Lei, in quella cappella, così come a Lei raccontava ogni sua pena; e lì ogni sera la supplicava di custodirlo e di non permettere che cadesse mai in peccato.     

L'amore per Maria SS. era in lui spontaneo, proprio come l'amore di un figlio per la madre. Martino stava sempre con Maria. I suoi momenti liberi - la notte o durante il silenzio del pomeriggio - li passava nella cappella della Vergine Madre. 

 

(fonte: www.unangelo.it)